" Mindfulness e Comunità Terapeutica Un modello orientato alle DBT Skills" Intervista all'autore Marco Begarani

” Mindfulness e Comunità Terapeutica Un modello orientato alle DBT Skills”

Intervista all’autore Marco Begarani

 

 

“Mindfulness e Comunità Terapeutica. Un modello orientato alle DBT skills”. Come nasce questo testo?

Questo lavoro sintetizza l’esito di una sfida, quella di confrontarsi come Comunità Terapeutica con il cambiamento nel trattamento delle dipendenze patologiche. Le dipendenze infatti sono un fenomeno culturale che varia nel tempo andando di pari passo con le caratteristiche della società di un dato periodo storico.

Questo testo, un vero e proprio manuale, è il frutto dell’esperienza e dello studio del gruppo di professionisti che da anni coordino nella Comunità Terapeutica Casa di Lodesana a Fidenza in provincia di Parma, della sistematica collaborazione con i Servizi del nostro territorio, in particolare i Ser.T., e del percorso promosso in questi anni dalla nostra Regione Emilia Romagna.

Ma oggi la Comunità Terapeutica è ancora uno strumento all’altezza dei tempi per il trattamento delle dipendenze patologiche?

Questo lavoro rappresenta esattamente il tentativo di rispondere a questa domanda.

Negli anni ’70-80 nascono in Italia le Comunità Terapeutiche e spesso rappresentano agli occhi dell’opinione pubblica l’unica via possibile per il tossicodipendente per uscire dal “tunnel della droga”.

Al termine degli anni ottanta il sitema dei Servizi e l’intera società occidentale assistono impreparati all’affermarsi di quella che verrà considerata la più grave malattia droga-correlata: l’Aids, la sindrome dell’immunodeficienza acquisita.

Quindi dagli anni ’90 la società è attraversata dai profondi cambiamenti della postmodernità o modernità liquida. Sono cambiamenti che si riflettono sul sistema di welfare con la transizione dal welfare state ad una situazione di welfare mix.

Negli stessi anni assistiamo a modificazioni importanti nel consumo di sostanze e nelle dipendenze patologiche con la diffusione del consumo di cocaina, dell’ecstasy, la compresenza di vecchie e nuove droghe, la comparsa di nuovi stili di consumo e delle dipendenze comportamentali quali il gioco d’azzardo patologico e le dipendenze tecnologiche.

Nel frattempo le Comunità Terapeutiche per continuare a confrontarsi con il Servizio pubblico e restare all’interno di un sistema integrato devono acquisire i requisiti definiti dal processo di accreditamento a garanzia della qualità del trattamento.

Infatti la comprensione più approfondita della dipendenza patologica come disturbo mentale con diversi livelli di gravità, nei casi complessi spesso associato ad altri quadri clinici come i disturbi della personalità, rende sempre più evidente:

  • la necessità di un trattamento portato avanti da figure diverse con una specifica preparazione professionale
  • l’esigenza di valutare gli esiti della terapia in modo più appropriato nella prospettiva del miglioramento della qualità di vita superando una logica dipendenza versus restitutio ad integrum che in passato operava secondo una rigida modalità on/off.
  • e per una serie di ragioni analizzate nel testo, la necessità di riconoscere che si assiste contemporaneamente anche a quello che è stato definito “il declino del mito salvifico della comunità terapeutica” nell’immaginario collettivo.

Questo significa il declino della Comunità Terapeutica?

A nostro avviso assolutamente no se però questa è l’occasione per evidenziare le specificità, i limiti e la qualità del trattamento di Comunità basato sul gruppo oltre le semplificazioni prima evidenziate attraverso quindi il confrontarsi con la complessità della patologia, la sua tendenza recidivante e con i grandi cambiamenti avvenuti dagli anni ’80, quando si diffondono le Comunità Terapeutiche come la nostra fondata nel 1983, ad oggi.

Quale modello di Comunità Terapeutica allora?

Il cambiamento penso richieda la transizione da un modello trattamentale lineare e concentrato nella Comunità Terapeutica ad un paradigma reticolare, diffuso, multicentrico in una prospettiva di stepped care e con un orientamento al recovery.

Si tratta di un modello complesso e specialistico che ritiene che la specializzazione debba essere declinata non solo nel senso categoriale di strutture dedicate al trattamento di porzioni specifiche della popolazione con dipendenze patologiche (doppia diagnosi, madre e bambino…) ma nel senso di una specializzazione concepita come sistemi ad alta integrazione e flessibilità con livelli variabili di protezione.

Mi puoi descrivere in sintesi le caratteristiche di questo modello?

Abbiamo preso a riferimento 3 approcci validati come la DBT (terapia dialettico-comportamentale), l’MBT (terapia basata sulla mentalizzazione) e la TFC (terapia focalizzata sulla compassione), ma non solo, elaborandoli ed adattandoli nella prospettiva di un nuovo modello integrato per l’intervento psicoeducativo da implementare nella Comunità Terapeutica in grado di rispondere alle nuove configurazioni delle dipendenze patologiche anche quando queste si trovano associate a disturbi gravi della personalità.

Abbiamo lavorato a partire da questi modelli non solo per il loro riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale e dopo l’approfondimento della letteratura ma anche dopo la partecipazione a percorsi formativi con Marsha Linehan e con Paul Gilbert che hanno elaborato rispettivamente la DBT e la TFC.

Perchè avete ritenuto così importante definire ed esplicitare il vostro modello?

Definire ed esplicitare il modello favorisce una coerenza dell’intervento del team terapeutico, una ricerca che lo possa validare, un confronto con altri modelli ed una sua trasmissibilità.

Inoltre se oggi nelle Comunità Terapeutiche è obbligatoria la presenza di numerosi professionisti, di protocolli e procedure per essere accreditati non è però per nulla scontata l’esplicitazione e la condivisione di un modello di intervento con il rischio di una babele di linguaggi, modelli e riferimenti.

Il testo inoltre, descrivendo in modo dettagliato il percorso terapeutico (gli obiettivi, le strategie e gli strumenti dell’intervento psicoeducativo) vuole essere un’azione di trasparenza nei confronti dei professionisti dei Servizi invianti, degli ospiti e dei loro familiari e di ogni cittadino che vuole conoscere la nostra Comunità.

Infatti non potendo rendere pubblici, per ovvi motivi di privacy, i momenti fondamentali del lavoro terapeutico come le équipe e le supervisioni settimanali sui casi ed all’équipe abbiamo voluto cercare di rendere più comprensibile la complessità e la ricchezza del lavoro terapeutico e la risorsa che io ritengo possa rappresentare per un territorio la presenza di una Comunità Terapeutica.

Quindi si tratta di un vero e proprio manuale?

Sì esattamente. Dopo un excursus storico a partire dal quale viene illustrato il paradigma di Comunità strutturato su diversi livelli di intensità terapeutica si passa ad un descrizione dettagliata del modello integrato e trasversale con la presentazione degli obiettivi, delle strategie e degli strumenti dell’intervento psicoeducativo. Viene anche presentato il lavoro proposto alle famiglie acquisite o di origine, quando presenti, considerate una risorsa fondamentale del percorso terapeutico. Nel testo si trovano inoltre tutte le schede che abbiamo elaborato e sperimentato in questi anni.

Il lavoro si conclude con un’introduzione esperienziale al modello per gli operatori dell’équipe multidisciplinare. Perchè?

L’idea nasce dall’esigenza di un’introduzione al modello non solo teorica ma esperienziale che considerasse non solo la dimensione cognitiva ma anche quella emotiva.

Infatti l’operatore e l’équipe nella relazione con persone con disturbi gravi della personalità sono inevitabilmente sottoposti a significativi carichi emotivi.

Nello stesso tempo anni di esperienza ci hanno fatto constatare come spesso le formazioni accademiche si concentrano prevalentemente sulla dimensione cognitiva e non sempre preparano il professionista nell’ambito psicoeducativo sul piano emotivo. La collocazione di questo testo come prima pubblicazione della collana “Scie” dell’Istituto di Scienze Psicopedagogiche e Sociali “Progetto Uomo” (IPU) affiliato alla Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Universita Pontificia Salesiana di Roma e l’introduzione del Professor Mario Dondi ci fanno d’altro canto cogliere anche la sensibilità a questi aspetti nel mondo accademico.

Cosa significa orientato alle DBT skills?

La DBT é una terapia cognitivo comportamentale di terza generazione mindfulness based che presenta a mio avviso una serie di elementi di estremo interesse per un setting come quello della Comunità Terapeutica. Innanzitutto la formazione al modello di un team a cui possono appartenere diverse figure professionali elemento fondamentale per evitare la confusione di linguaggi, modelli e riferimenti di cui parlavo prima.

Altra peculiarità della DBT è la forte componente psicoeducativa condensata nelle DBT skills. Le skills sono articolate in 4 set di abilità: mindfulness, regolazione emotiva, efficacia inerpersonale e tolleranza della sofferenza. Devono essere acquisite innanzitutto dagli operatori, perchè i principi del comportamento sono universali, e vengono insegnate come alfabeto fondamentale del trattamento.

Orientamento della Comunità alle DBT skills significa che oltre all’inserimento del gruppo di skills training DBT si organizza tutto l’impianto psicoeducativo della CT a partire dalle skills DBT. Significa che le skills DBT costituiscono il modello di riferimento per l’intervento psicoeducativo, impregnano tutto il setting della CT e non sono solo l’aggiunta di un gruppo particolare di competenza di qualche operatore.

Cos’è la mindfulness e cosa c’entra con la Comunità Terapeutica?

Con mindfulness si intende il prestare attenzione in un particolare modo: con intenzione, nel momento presente, in modo non giudicante, con curiosità ed amorevolezza.

Mindfulness è un concetto antico.

Espressioni di mindfulness si possono trovare nelle tradizioni contemplative di molte tradizioni spirituali.

Fondamentale è però il fatto che numerose ricerche condotte dalla psicologia occidentale hanno prodotto importanti evidenze scientifiche a supporto del fatto che praticare la mindfulness migliora la qualità della vita.

La pratica della mindfulness aumenta la capacità di gestire lo stress rafforzando così il funzionamento generale del corpo e della mente.

Il sito PubMed (l’archivio universale degli studi in campo biomedico) ha cominciato a censire i lavori sulla mindfulness a partire dal 1973 e negli ultimi anni le pubblicazioni scientifiche sono aumentate in modo esponenziale.

Tali pubblicazioni hanno ben evidenziato i numerosi benefici che tale pratica apporta.

La mindfulness caratterizza la cosiddetta terza generazione degli approcci cognitivo comportamentali, i cosiddetti modelli mindfulness based quali MBSR (mindfulness based stress reduction), MBCT (minfulness based cognitive therapy), DBT (dialectical behavior therapy), ACT (acceptance and commitment therapy), MBRP (mindfulness base relapse prevention), CFT (compassion focused therapy) per citare i principali.

Essendo quindi la mindfulness una componente essenziale di numerosi ed importanti approcci terapeutici ritengo che anche nella Comunità Terapeutica la mindfulness debba essere considerata, come sottolinea la DBT, un’abilità nucleare.

Puoi dirci qualcosa di più a riguardo di mindfulness, modelli terapeutici, scienza, tradizioni spirituali e Comunità Terapeutica?

La nostra come molte Comunità Terapeutiche ha le sue radici in nella tradizione cristiana.

In Italia molte Comunità Terapeutiche sono sorte in contesti con forti riferimenti alla spiritualità e sono state fondate da leader carismatici spesso appartenenti a congregazioni religiose.

Oggi invece i riferimenti alla spiritualità sono sempre più sfumati lasciando il posto alle competenze educative e psicologiche.

L’aver sviluppato un modello mindfulness based è stato anche il tentativo di recuperare, in una nuova prospettiva, la dimensione spirituale.

Una spiritualità, quella che è alle radici delle pratiche di mindfulness (che non sono state inventate dalla psicologia), in grado di dialogare con le scienze umane e che si colloca in

un contesto religioso pluralista.

A mio avviso la mindfulness è una preziosa possibilità per riscoprire un dialogo con le grandi tradizioni spirituali. Innanzitutto con quella cristiana soprattutto nella sua tradizione mistica, ma anche con una filosofia intesa come modo di vivere (P. Hadot), con il cosiddetto ateismo mistico e con le grandi tradizioni dell’oriente.

I modelli terapeutici di riferimento da noi scelti, in particolare la DBT e la TFC, sono stati elaborati in forte dialogo con la scienza, la ricerca scientifica, gli approcci evoluzionisti delle neuroscienze, il cognitivismo evoluzionistico e d’altra parte con la filosofia e le grandi tradizioni spirituali occidentali ed orientali.

Sottolineo a modo di esempio come la dialettica nella DBT rappresenti una visione del mondo con precisi riferimenti alla tradizione filosofica occidentale e la TFC si ponga ne solco della ricerca e dei modelli di tipo evoluzionistico.

Si tratta di modelli nati e fondati nell’incontro dialettico tra varie figure, professioni, discipline. Un aspetto in sintonia con la mia formazione che ha attraversato la biologia, le scienze umane e sociali, la teologia e la spiritualità.

Oltre ad essere un manuale per il trattamento individuale il testo mantiene sempre un’attenzione alla dimensione sociale. Perchè?

Perchè le figure della clinica variano in relazione alle caratteristiche della società, dipendenze comprese. Perchè i disturbi mentali più diffusi in una società sono anche un sintomo del disagio della società.

Il testo vuole essere un’occasione per far crescere nella società una maggiore consapevolezza nei confronti della sofferenza mentale, in particolare quella delle dipendenze patologiche e dei disturbi gravi della personalità, e di cosa significa e comporta il prendersene cura.

Si tratta di una forma di sofferenza che spesso si diffonde alla famiglia ed alle relazioni. Le patologie della mente sono più difficili da riconoscere e comprendere di quella fisiche ed altrettanto si può dire del significato e della valore della loro cura.

Includere come società la fragilità, in modo riflessivo e non sprovveduto, ma nell’umiltà del confronto con quello che le scienze, la ricerca e le grandi tradizioni ci insegnano può essere un’opportunità per scoprire la nostra forza individuale e sociale. Può aiutarci a comprendere che l’inclusione è un’occasione per costruire la salute e il benessere delle persone e dei nostri territori e non solo una minaccia.

Quali i prossimi obiettivi?

Come ha scritto nella prefazione del testo il Prof. Cesare Maffei Ordinario di Psicologia Clinica Università Vita-Salute San Raffaele e Presidente della Società Italiana per Dialectical Behavior Therapy (SIDBT) il fatto che il trattamento qui presentato sia altamente formalizzato, e che quindi la sua messa in pratica sia controllabile e non inferibile, fornisce un buono strumento su cui fare ricerca in linea con quanto avviene a livello internazionale e, purtroppo raramente nel nostro Paese, spesso troppo attaccato a paradigmi tradizionali indimostrabili.

Inoltre l’implementation, cioè il tradurre ciò che viene dalla ricerca sulle psicoterapie nel terreno reale nella prassi clinica dei contesti specifici come ad esempio la Comunità Terapeutica, è una delle priorità del network operativo europeo della DBT.

Il confronto con i modelli terapeutici in particolare quelli più validati, la ricerca scientifica e il dialogo con le tradizioni spirituali e filosofiche a partire dalla conoscenza delle nostre penso continueranno a costituire degli obiettivi per i prossimi anni.

L’obiettivo cioè di mantenersi in un processo dialettico oltre la chiusura autoreferenziale mantenendo la caratteristica stabile di sistema aperto al cambiamento come tutti i sistemi viventi che conosciamo per essere portatori di una Tradizione che “non è adorazione delle ceneri ma custodia e trasmissione del fuoco”.

M. Begarani, Mindfulness e Comunità Terapeutica. Un modello orientato alle DBT Skills, Universitas Studiorum Collana “Scie”, Mantova 2016

Marco Begarani è Presidente dell’Associazione Gruppo Amici Onlus Comunità Terapeutica Casa di Lodesana, laureato in scienze biologiche, perfezionamento universitario in direzione e coordinamento di strutture socio sanitarie, si è laureato presso l’Istituto Superiore di Scienze Psicopedagogiche e Sociali dell’Università Salesiana dove è collaboratore di ricerca. Attualmente è membro del comitato direttivo della Società Italiana per Dialectical Behavior Therapy (SIDBT)

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